Chef Enrico Mazzaroni, un piccolo genio "in purezza" guida Il Tiglio
di Marco Valeriani 😊
E poi c’è lui, Chef Enrico Mazzaroni. Un piccolo genio “in purezza”. A Isola di San Biagio, nel comune di Montemonaco (Ascoli Piceno), l’aria dei mille metri profuma già di primavera, seppur la temperatura non sia ancora del tutto favorevole.
Chef Enrico Mazzaroni |
Partiamo dall’attualità: le riaperture del 26 aprile. Siete pronti?
“Noi vorremmo riaprire, lo spazio all’esterno ce lo consentirebbe. Purtroppo sui Sibillini è freddo. Speriamo vogliano modificare qualcosa nei provvedimenti. Vorremmo davvero ricominciare, si è allo stremo e non ce la facciamo più: abbiamo già subito quattro anni di terremoto e quest’ultimo anno ci ha fiaccato per bene. L’augurio è che trovino degli escamotage. Il Tiglio è un ristorante con buona metratura all’interno e il distanziamento tra un tavolo e l’altro sarebbe sempre garantito”.
Quanti posti avete nel locale?
“Una trentina al massimo”.
Lei viene considerato un autentico genio della cucina italiana. Uno Chef che ha fatto dell’estro e dell’intuizione la sua arma vincente? Si riconosce in questo giudizio?
“Io non mi sento assolutamente un genio, piuttosto una persona in continua fase di scolarizzazione. Ho sempre da imparare. Se a volte vi sono state delle intuizioni carine, simpatiche che sono piaciute e non rientravano nei termini convenzionali e facevano parte di un mix capace d’unire elementi tra loro molto diversi esaltandone il sapore, beh non posso che dire d’esser contento. La mia cucina fonda le proprie radici nella tradizione e si basa su elementi tipici del territorio e derivati dallo stesso. E se vogliamo parlare di estro, forse possiamo affermare che l’intuizione felice è stata quella di rivisitare quanto da sempre fa parte del mio bagaglio culturale: io provengo dalla trattoria in cui la mamma mi ha insegnato la classicità: la polenta, i fagioli con le cotiche, l’agnello”.
Uno dei suoi piatti più conosciuti?
“Direi il dolce con il cervello d’agnello. A Pasqua nelle famiglie contadine si assaggiava sempre la testina dell’animale. Il mio dolce non è un qualcosa di estrapolato altrove. Bensì una risorsa del territorio rivisitata in dessert”.
Riconosce allora il valore dei prodotti a Km vero?
“Sì, assolutamente. Il Tiglio è un agriturismo: dobbiamo consumare per il 70% i nostri prodotti, pertanto siamo in un certo senso “obbligati” al Km vero. Mio padre produce, all’interno dell’azienda agricola, gran parte di quanto portiamo sulla tavola. Mentre per le altre materie prime ci serviamo delle realtà presenti sul posto o della grande distribuzione”.
Se dovesse progettare un nuovo percorso di cucina, su cosa punterebbe?
“Ho già molta sperimentazione alle spalle: punterei ancora su verdure e frattaglie. Io amo sia le prime sia le seconde; sono i cibi della cucina contadina. In casa si consumavano tante verdure e tante frattaglie ricavate dalla cura dell’orto e dalla macellazione. La carne più pregiata si vendeva e le frattaglie finivano in pentola. Vorrei insistere su questi due “ingredienti”, anche se metterli insieme e farne dei piatti gourmet e soprattutto farli piacere è abbastanza complicato: è sempre una grande sfida quando si punta a far convivere elementi differenti tra loro e proporre qualcosa che non tutti mangiano”.
C’è chi si sta rammaricando, e non poco, del fatto che il Tiglio di Isola San Biagio non abbia ancora il giusto riconoscimento dalla guida Michelin. Cosa risponde?
“Se dicessi non m’importa, sarei uno sciocco. In realtà non siamo proprio sulla guida Michelin, nemmeno menzionati. E dire che abbiamo fatto un lungo percorso - con un sisma violento nel mezzo - per poi aggiungere come sia quassù, prima del terremoto del 2016, sia a Porto Recanati (Il Tiglio in Vita, ndr) noi in quella guida comparivamo. Pertanto, questa penalizzazione non so ora da cosa possa essere dettata: forse dal solo fatto che non sono mai venuti a Isola, sebbene per me non sia una storia plausibile. Del resto, a Porto Recanati si erano avvicinati al locale fin dal primo anno e la prima ispezione comprovata risaliva a 20 giorni dall’apertura.
“Tutto ciò che viene amplificato dalla tv aiuta, perché fa da traino. Però come succede in tutti i casi in cui un settore viene trainato si creano delle bolle correlate sia all’immissione dei giovani nel mondo del lavoro sia alle aspettative di chi inizia a fare questo tipo di cucina. Mi spiego meglio: ci siamo accorti dell’affluenza, enorme, dei giovani in questa direzione - che è assolutamente una cosa buona -, ma al tempo stesso ci siamo accorti di come nella testa dei ragazzi si crei una bolla che imprime la convinzione della bravura immediata e della semplicità del mestiere.
“Armarsi di tanta pazienza. Non pensare ad un mondo fatto di tv e interviste sui giornali. Quello arriverà… molto più avanti. E non va cercato all’inizio. Invece in diversi puntano immediatamente alla notorietà. Non basta una sola esperienza o due sole esperienze e non è sufficiente disporre di risorse finanziare per aprire un ristorante gourmet: è una sciocchezza. Io arrivo da una grande scuola di tradizione; ho fatto un lungo periodo di stage in giro per il mondo e nel frattempo ho iniziato a sperimentare. Solo dopo 10 anni di tradizione-innovazione insieme mi sono lanciato nell’avventura de Il Tiglio. Andate all’estero, mettetevi alla prova negli stellati. Fate 6 mesi, 1 anno di esperienza in 10 stellati e lentamente acquisirete le conoscenze utili. Ricordate che inventare è diverso dal fare. Quando s’inventa un piatto, un po’ d’estro è fondamentale e non è prerogativa per tutti”.
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