Vini, Vincenza Folgheretti: "Enologo figura chiave all'interno dell'azienda. Vi dico perché"

di Marco Valeriani 😊

Siciliana di nascita, toscana di adozione, Vincenza Folgheretti si Laurea alla Facoltà di Viticoltura ed Enologia di Pisa nel 2008. Ha approfondito le sue conoscenze scientifiche conseguendo successivamente due Master: uno sulla “Gestione dell'Alta Qualità della Filiera Vitivinicola” e uno su “Bilancio e Amministrazione Aziendale” alla Facoltà di Economia. 

 
- Vincenza Folgheretti, enologa - 

Prima di intraprendere la carriera come Enologo Consulente, ha lavorato per importanti e rinomate aziende del settore, sia in Italia sia all'estero, arrivando fino in Nuova Zelanda. 

Da enologo interno a direttore tecnico, con il tempo ha acquisito un bagaglio di esperienza e conoscenza tale, che ha deciso di mettere al servizio delle aziende. Numerose le collaborazioni all'attivo, incentrate principalmente in Toscana e in Friuli.

Collabora con l'Università di Pisa per la formazione professionale degli studenti, oltre ad avere l'incarico di componente esterna del comitato d'indirizzo del corso di Laurea in Viticoltura ed Enologia.

È componente delle commissioni di degustazione per l'attribuzione delle Doc e Docg per tre province della Toscana, nonché del "Comitato Regionale Assoenologi Toscana" e Consigliere provinciale del “Collegio dei Periti Agrari di Grosseto”.

È giudice e componente ufficiale di diversi concorsi enologici nazionali e internazionali e si occupa delle stesura di articoli tecnici per importanti riviste di settore, una delle quali la rivista de "I Grandi Vini" 
È stata scelta come una delle più importanti donne della Toscana da inserire nel libro "Donne del Vino della Toscana" scritto da Nadia Fondelli e Roberta Capanni. 

Ha inoltre  curato la parte tecnico-enologica del libro "Italian Wines, I fondamentali per capire il vino", scritto da Stefano Quaglierini.

È stata vice-delegata delle Donne del Vino della Toscana e oggi è titolare di un'azienda vitivinicola con sede in Toscana.

Invitata in veste di relatore, per conto di Assoenologi, a rappresentare l'Italia in occasione della “VI Edizione della Settimana della Cucina Italiana nel Mondo” organizzata a Budapest a novembre 2021.



Dottoressa Folgheretti, per prima cosa proviamo a chiarire con parole semplici chi è e cosa fa un enologo.

Oggi possiamo dire che l’enologo è una delle figure chiave all’interno di un’azienda. Che sia un libero professionista o un enologo interno, il suo compito è quello, prima di tutto, di garantire non solo la qualità,  ma la salubrità del prodotto stesso: dalla vigna fino alla bottiglia e quindi al consumo.
Ha inoltre la responsabilità dell’intero processo produttivo, a partire dall’impianto del vigneto, con la scelta delle varietà da impiantare in relazione all’area geografica di riferimento, l’obiettivo enologico che l’azienda si è prefissata di raggiungere e la strategia di collocazione sul mercato nel quale il prodotto verrà poi immesso. 

Perché è importante avvalersi di questa figura professionale in cantina?

È una figura di estrema importanza per un’azienda, soprattutto se ha un’obiettivo commerciale ben chiaro e definito. L’enologo interno ha più la responsabilità della gestione tecnica del processo produttivo.
Nel caso del consulente invece, oltre a dare indicazione di carattere tecnico e lavorare sulla realizzazione finale del prodotto, è colui che ha la visione ampia di tutto il sistema, che va oltre il semplice contesto aziendale. Questo diventa un grande punto di forza per l’azienda, in quanto ha a disposizione quel valore aggiunto indispensabile per il suo sviluppo e la sua crescita. Il consulente è colui che, oltre ad essere costantemente aggiornato sulle novità di carattere tecnico, conosce i mercati, i territori, le tendenze, un vero e proprio strumento nelle mani dell’imprenditore per la realizzazione e lo sviluppo del progetto enologico aziendale. 



È l'enologo a "decidere" il futuro di un vino? È lui a plasmarlo, oppure ne segue il "carattere" naturale esaltandone i pregi?

Dipende, non è escluso che lo possa fare, anche se a mio parere l’enologo non dovrebbe in alcun modo “plasmare” i vini, ma è suo assoluto dovere seguirne il carattere naturale, esaltandone i pregi.
Il vino deve avere la sua identità, così come la deve avere l’azienda stessa. 
Non è raro assaggiare vini eccellenti, indiscutibilmente fatti bene, nei quali però non si riesce a coglierne le sfumature, siano esse territoriali, varietali e soprattutto aziendali. In poche parole, manca l’anima.
È più facile fare vini tecnicamente perfetti, che vini sorprendentemente identitari. 

Le è mai capitato di far capire a un produttore che il suo vino era davvero imbevibile?

Certamente. È come dire ad un genitore che il proprio figlio non è all’altezza di fare determinate cose, quando il genitore stesso lo crede a massimi livelli. In quel caso non è facile, ma si parla di onestà intellettuale e professionale, che diventa di notevole importanza per la crescita e il futuro economico dell’azienda. 
Ricordiamoci che un’azienda, in quanto tale, deve produrre utili e nel caso del vino l’argomento è ancora più complesso. Parliamo di un settore nel quale ci sono grossissimi investimenti di partenza con rientri molto molto lenti. Se l’enologo non ha la capacità di far capire a chi investe nel progetto che quel prodotto farà molta fatica a trovare la sua collocazione nel mercato e ovvio che l’azienda non cresce.
Ci sono poi alcuni “stili estremi” che sposano pienamente la filosofia del produttore dal quale il produttore stesso non si vuole spostare. In quel caso ha piena consapevolezza del suo prodotto ed è perfettamente chiara la sua collocazione nel mercato e quale sarà lo sviluppo del suo progetto aziendale. 


Italia e Francia, siamo ancora all'arma bianca per stabilire chi è il più bravo?

Sul fatto che i francesi siano degli ottimi commercianti, nessuno ha dubbi. Loro nascono commercianti. 
Noi italiani però abbiamo qualcosa che tutto il mondo ci invidia. La nostra ricchezza ampelografica. In nessuna altra parte del mondo esiste un Paese come l’Italia. La Francia stessa è imparagonabile. La Francia è larga, l’Italia è lunga con condizioni pedoclimatiche completamente differenti, da nord a sud. Basti pensare che le nostre varietà autoctone registrate nel 2019 sono arrivate a 545, la Francia ne ha appena 50, nel bene e nel male. Chi è il più bravo? Penso che oggi non esista il più bravo nel senso stretto del termine, ma solo due grandi Paesi produttori di grandi vini. C’è una cosa che però i francesi hanno in più di noi, la capacità di “fare gruppo”, di parlare di territorio e non di aziende. Non mi è mai capitato che un francese mi dicesse che il proprio vino è più buono del vino del vicino, un francese dice che non esiste un vino più buono dell’altro, sono tutti vini buoni. Questo sicuramente noi italiani dobbiamo ancora impararlo. 

Paesi dell'Est: che ne pensa dei vitigni autoctoni italiani "trapiantati" in terra straniera? È solo moda o il mercato lo richiede?

Partiamo dal presupposto che ogni vitigno, nel momento in cui viene “trapiantato” in un luogo che non sia quello di origine, trova la propria identità in quel luogo stesso, meglio o peggio non possiamo dirlo, ma comunque con caratteristiche diverse, diventando per certi aspetti quasi non paragonabili. Cambia l’altidudine, il terreno, il microclima, cambiano tutti quegli elementi che creano i caratteri distintivi di un territorio. Spesso questo avviene anche a distanza di pochi km, figuriamoci se cambiamo Paese. 
Un esempio eclatante sono le varietà internazionali. È impensabile trovare un Pinot Nero italiano che sia paragonabile al Pinot Nero della Borgogna. Entrambi eccellenti, eppure diversi. 
Consideriamo poi che moda e mercato per certi aspetti sono strettamente correlati tra loro. Sicuramente la tendenza è quella di impiantare varietà che vengono richieste dal mercato, ma non si può creare un’azienda solo ed esclusivamente su queste basi. È importante che l’azienda trovi la propria identità territoriale che si rispecchia poi anche nel prodotto. Un’azienda deve essere riconoscibile per i suoi punti di forza: è questo il messaggio che deve passare al consumatore, perché questo farà la storia dell’azienda stessa e le consentirà di approfondire le sue radici nel proprio territorio e nello stesso tempo di creare un’identità che sia riconoscibile fuori dalle mura aziendali. Solo così può riuscire ad affermarsi in un settore ormai per certi aspetti saturo. Identità unica, assoluta e irripetibile. Se poi la filosofia dell’azienda è quella di produrre anche vini “modaioli” che ben vengano. È ovvio che questi hanno più “appeal” nei confronti del consumatore diventando per certi aspetti più facili da collocare nel mercato. Una sorta di “apriporta” anche per le altre tipologie. 


Guide del bere: croce e delizia per decine e decine di cantine. Fanno bene o "ingabbiano" le aziende rischiando di mandarle in cortocircuito?

L’argomento “guide” è sempre stato un argomento abbastanza complesso da affrontare. Certo è che la guida, così come anche tanti altri concorsi nazionali e internazionali, devono essere degli strumenti nelle mani dell’azienda e non il contrario. Tutto ciò che può creare valore aggiunto in termini soprattutto di comunicazione, che ben venga, senza diventarne però schiavi; può essere non solo pericoloso ma anche controproducente. 

Italia, siamo più competitivi nei rossi o nei bianchi?

Se si parla di qualità, impossibile dare una risposta. In Italia la qualità è altissima, da nord a sud e non lo dico per senso di patriottismo. Come dicevo prima, l’Italia è lunga con condizioni pedoclimatiche completamente differenti. Basti pensare a un bianco della Valtellina e uno dell’Etna, entrambi prodotti ad alta quota, ma da un lato abbiamo le Alpi, dall’altro abbiamo il mare; è ovvio che il risultato non può mai essere uguale, mantenendo comunque un livello molto alto. Ogni regione italiana ha le sue eccellenze, chi è più vocata per i bianchi chi invece per i rossi. È veramente difficile stabilire una “competitività” in termini assoluti. 
Parlando invece di mercato, il Veneto è sicuramente al primo posto, con un incremento dovuto principalmente alle bollicine, a seguire poi Piemonte e Toscana, con i loro rossi. Stiamo comunque parlando di regioni di altissimo livello per quanto riguarda la tipologia di prodotto, con destinazioni di mercato e target sicuramente differenti.

Che giudizio dà dei vini rosa del nostro Paese?

Il “rosa” funziona. E se qualche anno fa si faceva il rosato perché non si sapeva cosa farne dei salassi, adesso si lavora per fare rosato. Tantissima attenzione è posta all’uva e al colore. Ricordiamoci che è più difficile fare un ottimo rosato che fare un ottimo bianco, perché entra in gioco proprio il colore con la tendenza a virare verso l’aranciato nel tempo; tra l’altro in un tempo molto breve.  
In Italia abbiamo rosati che spiccano per la loro identità ed espressione non solo territoriale, ma anche varietale, con caratteristiche per certi aspetti quasi uniche. La qualità dei vini rosati negli ultimi anni ha fatto passi da gigante, dovuta proprio al fatto che non è più considerato un “prodotto secondario” ma è entrato al 100% nella linea dei vini aziendali. 

Il boom delle bolle a ogni costo... 

Ha detto bene, un boom. Se pensiamo che solo nel 2021 sono state stappate circa 200 milioni di bottiglie, pari a una spesa di circa 1 miliardo e 430 milioni, per una media di 6,80€ a bottiglia, cos’altro aggiungere. 
Gli spumanti italiani sono i primi in Europa e primi nell’esportazione extraeuropea. 
Se si pensa che la Francia per noi è il 4° mercato per l’export sulle bollicine, “rubando” spazio sugli scaffali a quegli champagne di prezzo più basso, abbiamo già il quadro chiaro della situazione. Un fenomeno in questo caso legato probabilmente a un cambio di gusto,  soprattutto da parte dei millennials che cercano qualcosa di diverso dei loro prodotti. Se analizziamo inoltre gli ultimi anni, dove il lockdown ha letteralmente frenato il mercato, le bollicine sono state la categoria che ha in assoluto inizialmente più sofferto, diventando poi però il simbolo del rilancio stesso. Se parliamo poi di bollicine “rosa”, beh, quale momento più favorevole. Le bollicine sono esplose, il rosa è di “moda” ed ecco che è nato il matrimonio perfetto. 



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