Fattoria del Piccione, un caveau di pietra per i vini che hanno segnato la storia dei Pasini

Si torna sempre con piacere alla Fattoria del Piccione. 

A San Savino di Montescudo - Monte Colombo, la famiglia Pasini - Andrea, il più giovane; Stefano, il papà che non perde mai d’occhio la vita della cantina, e Marina, la mamma impegnata soprattutto nell’area amministrativa - è a dir poco un’istituzione nel mondo vitivinicolo riminese, romagnolo e regionale.


- La volta dell'archivio a Fattoria del Piccione -

Qui - la riga del mare all’orizzonte, i vigneti adagiati sul fianco della vicina Agello a San Clemente - si respira la “lentezza” dei ritmi stagionali. Si ascoltano le vibrazioni della terra. Si rispetta ciò che la natura programma di suo. Si lavora con studiata determinazione. E si progetta con costanza, pazienza, perseveranza. 

Insomma, la fretta è bene se ne stia fuori dalle mura che circondano questa sorprendente “casa del vino”.

Incuriositi da alcune immagini pubblicate da Andrea sul profilo Instagram della Fattoria, ci siamo concessi del tempo per visitare ciò che i Pasini hanno ribattezzato l’archivio della memoria: primo esempio in Valconca - se non andiamo errati - e speriamo felice ispiratore per altri.



Quasi un caveau in centenaria pietra trasudante. A forma di piccola cattedrale sommersa poco sotto il piano di calpestìo. Uno Stargate pronto a proiettare il visitatore negli spazi sovrastati dalla volta a effetto wow. Volta che respinge e fa dilagare lungo le pareti ogni scintilla di luce. Soffusa, non invadente. Sistemata ad amplificare il profilo di colonne virtuali messe lì a sorreggere quanto di più prezioso esista: l’esclusivo sancta sactorum del vino.

“Abbiamo raccolto e ordinato tutti i vini della nostra storia, dal 1960 in avanti. Fattoria del Piccione come la conosciamo oggi - dice Andrea Pasini - compare la prima volta nel 1989 anno in cui l’azienda viene fondata da mio nonno Vitaliano dopo averla rilevata dai Conti Spina. I vini precedenti al 1989 furono imbottigliati perlopiù per uso familiare. E più nello specifico i vini risalenti al 1960 fanno riferimento alla nascita del primogenito, mio zio Paolo. Sulle etichette dei campioni conservati è scritta la data e il nome di chi conferiva il campione: ovvero mio nonno Vitaliano in quanto parte dei vigneti all’epoca erano in affitto e dunque disponendo di maggiori superfici l’uva veniva anche venduta. L’aspetto a cui si è voluta prestare la massima attenzione, coincide nella creazione di un “luogo” che potesse preservare al meglio il patrimonio tipico della famiglia Pasini. Una documentazione non cartacea, bensì più fisica e fruibile dal punto di vista dell’assaggio. Poiché la finalità ultima dell’archivio sta nel valutate e studiare l’evoluzione dei nostri vini, la loro longevità, il confronto degli stili di anno in anno, i progressi ottenuti oppure i passi falsi innescati dalla sperimentazione. Il tutto volto ad aiutarci, così da costruire in noi, considerati gli elementi in gioco, una maggiore consapevolezza su cosa fare in futuro per migliorare”.


La famiglia Pasini al completo

“Le luci scelte sono gialle e a tecnologia Led, pertanto a basso consumo: tenui, non scaldano, non creano “il gusto di luce” nel vino e contribuiscono all’effetto cattedrale incanalandosi lungo le fessure presenti tra le singole scaffalature. Dando poi forma a colonne virtuali, innalzate - mi si consenta il raffronto - a dividere le navate di una chiesa. L’anfora in terracotta ottocentesca posta al centro dello spazio vuole infine ricordare l’abside. L’idea alla base del progetto - aggiunge - è stata concepita con l’obiettivo di disporre sia le scaffalature sia le bottiglie in modo da esaltare la circolarità dell’ambiente affinché entrandovi si avesse la sensazione d’essere abbracciati. Sui ripiani, in senso orario, troviamo il Tintorio da uve Ancellotta (a partire dal 2019); bottiglie di Sangiovese novello, da macerazione carbonica che non produciamo più; bottiglie create assieme ad attività storiche del territorio o evoluzioni di etichette modificate nel tempo. A seguire il Giulio D’Ven Bon (dall’annata 2003), Cabernet Sauvignon Riserva in purezza; l’Agello Romagna Doc Sangiovese Superiore Riserva (dal 1990); il San Savino Colli di Rimini Doc Sangiovese Superiore (dal 1989), che nei piani non dovrebbe essere più prodotto; il Donna Teresa (dal 1990) da uve stramature (Malvasia aromatica); il Villa Massani Colli di Rimini Doc Rebola (dal 2014). Quest’ultimo il bianco più significativo del territorio - vinificato in purezza dal 2019 - protagonista assoluto del percorso di valorizzazione chiamato Rimini Rebola”.


Qualche anticipazione sul futuro di Fattoria del Piccione?

“L’idea che è in fase evolutiva mira ad avere una produzione più contenuta (meno etichette), portando al massimo il grado delle cure e irrobustendo di pari passo la nostra identità aziendale. Ci stiamo impegnando, proprio come si agisce in scuderia allenando i purosangue più veloci. Ne parleremo molto presto”.

FATTORIA DEL PICCIONE


mar.val.


Questo articolo è apparso sul numero di luglio 2022 di Geronimo Magazine, scaricabile dal sito www.geronimo.news

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