Mattia Borroni, uno Chef avventuroso e testardo per l'Alexander a Ravenna

di Marco Valeriani 😋 -

“Nel centro storico, sulle vecchie mura di Ravenna, si trova l’Alexander, cinema fino al 2002, quando poi cambia destinazione e diventa ristorante. Il progetto di ristrutturazione è all’insegna della continuità con il passato dell’edificio e il locale, con il suo autentico stile Liberty, conserva il fascino della sua storia. L’atmosfera è sofisticata come quella di un vecchio film in bianco e nero, ma nello stesso tempo accogliente, creativa e calda come un ristorante della New York contemporanea”.

 
- Chef Mattia Borroni - 

Questa volta ItaliaSapore.it è a Ravenna per incontrare, seppur solo virtualmente, Chef Mattia Borroni. All’Alexander ci arriviamo su consiglio e indicazione di una nostra, cara amica Chef: Cristina Lunardini.

Ecco che cosa è scaturito dalla chiacchierata.


Chi è Chef Mattia Borroni?

Mattia Borroni è un ragazzo che ha iniziato a lavorare quando era molto giovane: avevo 13 anni. Poi la Scuola Alberghiera per essere sicuro che quella fosse davvero la professione che mi piaceva. Quindi ristoranti più o meno importanti nel Milanese, fino a decidere di trasferirmi a Ravenna e rimanerci 13 anni. All’Alexander in questo momento ci stiano proiettando su una cucina un po’ più moderna e sui prodotti della zona.

Quanti anni ha Mattia?

31.



Cosa l’ha spinta a intraprendere questa professione?

Amo la manualità. Da piccolino mi sono appassionato molto alla cucina, perché i miei genitori andavano spesso al ristorante e questo m’intrigava un po’. Fino a quando, un anno ero a casa da scuola, per occupare il tempo ho preparato le prime tagliatelle a mano. Lì ho capito: amavo realizzare le cose con le mie mani. Un prodotto che potevo fare in poco tempo e consumato dai miei genitori: la cosa mi ha gratificato. Guardando libri, trasmissioni, osservando altri cuochi che lavoravano al momento giusto mi è sembrato naturale iscrivermi alla Scuola Alberghiera: mio padre non era proprio d’accordo; voleva facessi una scuola d'ingegneria meccanica. Ma poi ha accettato tranquillamente.

Quindi lei è un ingegnere meccanico mancato ma uno Chef di successo…

Di successo fino ad un certo punto...


Perché?


Perché vedo di far bene il mio lavoro. Però il vero successo è ancora in là.

Il suo giudizio sintetico sul fare cucina nel nostro Paese?

È un mondo, diciamo, in tre fette: chi fa la vera cucina tradizionale (pochissimi). Altra piccola fetta è il mondo della ristorazione. Persone che ci credono, investono come se fosse il loro stile di vita, cercando di dare il massimo. Infine, un’enormità di ristoranti da battaglia, dove non c’è grossa professionalità, dove non c’è la ricerca della materia prima. È una gara al ribasso per avere più margine possibile da ogni piatto. Purtroppo è quella la ristorazione preponderante nel nostro territorio. Un po’ per colpa della ricerca del mangiare a poco prezzo, un po’ per la ricerca della quantità. Altro motivo è che la gente è svogliata e non è in grado di farsi da mangiare da sola. Pertanto sceglie il ristorante come soluzione a un proprio problema. Un tempo, penso ai miei nonni e ai miei genitori, si andava fuori per un’occasione speciale, non perché dovevi nutrirti.
Questo dispiace un po’: siamo un popolo che ha una valanga di possibilità per poter fare bene. La ristorazione presenta grosse problematiche: fare fin da subito alta cucina non è facile. Occorono grossi capitali, bisogna investire. Tante volte succede pure a ristoranti stellati molto validi. I costi sono molto elevati, quindi capisco anche la scelta di fare una ristorazione più semplice.



Italiani e romagnoli popolo gourmet o semplici assaggiatori?

Anche qui c’è differenza. Trovi il romagnolo che se non ha il cappelletto al ragù non ha senso spostarsi, quindi preferisce un ristorante dove si mangia tantissimo e si riempie la pancia con un piatto di pasta (almeno 200 grammi). Dall’altro canto c’è chi veramente punta sulla tradizione della cucina in Romagna e va alla scoperta di quei posti in cui ci si può stupire con la cacciagione o un buon fritto di pesce fatto a regola d’arte. La Romagna è una terra ricca dal punto ristorativo, eppure ciò è altresì uno svantaggio: la gente è abituata a mangiare tanto; a mangiare il cappelletto al ragù quale “simbolo” e se non ha quello non esce a cena.


Cosa la infastidisce di più quando è al lavoro?


Quello che mi infastidisce di più sono le richieste estreme delle persone a cena: abbiamo passato un brutto periodo e penso che ora ci siano più intolleranze o allergie. Persone che non mangiano questo o quell’altro. Diventa tutto più problematico; ma quest’aspetto non deve ricadere sempre sul ristoratore che se non accontenta sembra un pazzo. In una tavolata di 50 persone è possibile che ce ne siano più di 10 con intolleranze una diversa dall’altra: facciamo tanta fatica ad accontentarle. Molte volte hanno atteggiamenti spocchiosi, come se io dovessi risolvere il loro problema. Questo mi dà fastidio… Per il resto non ho grosse difficoltà: il mio è un lavoro duro ma l’ho scelto. Abbiamo realmente poco tempo. Adesso che ho un figlio, capisco bene quanto tempo mi porti via… Molto spesso dalla sala non si vede cosa c’è dietro ogni singolo piatto, non si nota. Invece, il 99% del lavoro viene fatto prima.


A cosa non rinuncia a tavola?


Io mangio cose molto semplici, non rinuncio quasi mai alla foglia di basilico, all’origano fresco; mi piacciono molto le verdure.

Guide enogastronomiche e critici enogastronomici, fondamentali o ne possiamo fare a meno?

Sono fondamentali se fanno un lavoro di effettiva ricerca e promozione dei locali che ne hanno bisogno o di cui ne vale la pena, altrimenti no.

Chef Borroni in tre parole?

Felice, avventuroso e testardo.


Tre parole scelte bene e con cura.


RISTORANTE ALEXANDER



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