Chef Aurora Storari: "Essere sempre affamati di conoscenza"

di Marco Valeriani 😊


Prima di tutto una breve presentazione di Chef Aurora Storari.

Sono nata a Roma 28 anni fa e attualmente lavoro come pasticcera a Parigi.


Chef Aurora Storari

La sua idea di cucina: più ricerca e innovazione o più tradizione e rispetto delle conoscenze consolidate?

Credo che una professionista debba essere una commistione delle due cose: tradizione e innovazione. Ad ogni modo avere basi solide fondate sui principi classici della cucina è necessario per poter poi costruire una propria personalità. La padronanza della tradizione permette di allargare gli orizzonti.

La comunicazione digitale ha fatto letteralmente esplodere l’interesse per tutto ciò che è cibo: ci aiuta a capire a cosa dobbiamo guardare con interesse e di chi, invece, dobbiamo diffidare?


La comunicazione digitale è un’arma a doppio taglio a mio avviso, trattandosi di contenuti “astratti”. Trovo abbia migliorato il mondo della cucina per certi aspetti. Si parla di cibo con più consapevolezza e cognizione di causa, l’informazione è più snella e rapida. Spesso però si corre il rischio di creare scatole vuote: occorre secondo me ricordare che il cuoco (o pasticcere) prima di tutto fa da mangiare e quello e solo quello è l’unico giudizio che conta. Non voglio rischiare di sembrare antiquata, io in primis utilizzo social e media e li trovo utili per la mia professione se usati con consapevolezza. Tengo a mente però che chi mi segue un giorno spero venga a sedersi a tavola e voglia assaggiare i miei piatti.

Ai giovani che desiderano avvicinarsi alla professione quale consiglio si sente di dare?

Tengo molto alla nuova leva di giovani cuochi, perché saranno il futuro della ristorazione ed è importante abbiano da subito coscienza di cosa significhi lavorare in questo settore. Diffido da chi fa sembrare tutto rose e fiori, da chi vuole far credere sia un mestiere che porterà fama e gloria: le realtà di questo tipo sono ben poche. Lavorare nella ristorazione richiede in primis un’infinita dose di umiltà, spirito di sacrificio. Bisogna essere consapevoli ma autocritici, perfezionisti e affamati di conoscenza.


Cuochi e televisione: approva o condanna? Giusto o sbagliato?

Non ci trovo nulla di male nel rendere la cucina “pop”, se nei giusti termini ovviamente. Se dovessero un giorno chiedermi di partecipare ad un programma che non svilisca  la cucina ma aiuti a comprenderla, io accetterei!

Anche nel mondo dell’alta cucina emerge una questione di parità di genere: troppi uomini Chef sotto i riflettori, è d’accordo?

Che siano più uomini a capo di cucine (e di conseguenza più noti), è un dato di fatto che purtroppo si radica dalla nascita delle cucine stesse. Ancora oggi fa scalpore vedere una donna a capo di una brigata, perché la figura di Chef si rilega sempre ad un’immagine forte e virile che poco combacia con quella femminile. Le cucine per fortuna stanno cambiando: negli anni a venire vedremo sempre più donne ricoprire ruoli importanti, almeno spero!


Crede che la pandemia da Covid-19 porterà a cambiamenti radicali nel modo di cucinare e interpretare gli ingredienti?

Quando le cose torneranno alla normalità ci sarà un rinascimento della cucina. La pandemia ci ha insegnato che la poca sostanza (in termini di concretezza dello stile dello Chef), poco ripaga (vedi famiglia Adrià e le chiusure in Spagna). Siamo giunti ad un momento in cui le persone vorranno scoprire altri sapori, tecniche e ingredienti ma in maniera diretta e pragmatica; senza troppi giri di parole che allontanano dal piatto. Già la boulangerie dove lavoro ora è un piccolo ritorno alla normalità. La prendo come laboratorio creativo per quando io e il mio compagno aprirermo il ristorante. E soprattutto sto cercando di proporre una nuova idea di pasticceria da boutique che non sia la solita crema alla vaniglia e canditi d’arancia.

Il nome del futuro locale?

Jeanne Aimée per ora è il nome più papabile. È il nome della madre del proprietario: grandissima cuoca.


Tre cose che la fanno davvero arrabbiare quando sente parlare di cucina?

Le persone che credono che i cuochi mangino bene! Non mi fa arrabbiare, piuttosto mi fa sorridere. Il pasto medio di un cuoco (quando riesce a mangiare) è scatoletta di tonno e pane in cassetta. Per il resto non mi lascio infastidire: la cucina è un luogo di scambio e confronto ed è giusto che qualcuno la pensi diversamente da me.


Vuole ringraziare qualcuno per l’esperienza maturata?

Ci sarebbero tantissime persone: i miei genitori e in particolare mia madre; la famiglia Alajmo per avermi fatto capire quanto sia fondamentale lo spessore umano di un cuoco. E poi colleghi e Chef incontrati nel mio percorso perché ognuno di loro, dallo stagista all’Executive, mi hanno lasciato qualcosa. E, ancora, il mio compagno, Chef, che mi affianca in ogni situazione e mi sprona ogni giorno ad essere una professionista migliore. La lista è davvero lunga. Ad ogni modo amo la cucina proprio per questo: qualsiasi esperienza, positiva o negativa che sia, insegna.

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